Non si sta sul mercato per legge, ma per capacità di progredire

Un’inusuale, spontanea, alleanza si è progressivamente manifestata da settembre ad oggi tra portatori di interessi collettivi privati ed autorità indipendenti. Associazioni imprenditoriali (Abi, Agci, Ania, Assogestioni, Assonime, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confindustria, Cna, Legacoop), di consumatori (Adiconsum, Movimento difesa dei consumatori, Uniconsum, Consumers’ Forum, Aduc, ecc), professionali (Unione giovani avvocati italiani), insieme all’Antitrust (il cui presidente è intervenuto sulla questione a settembre e ieri) ed all’Agcom (espressasi ieri), hanno preso unanimi, durissime, posizioni contro la riforma forense, al vaglio il 18 novembre scorso della Commissione giustizia del Senato che l’ha licenziata in sede referente. Un preteso riordino che non va bene a nessuno (tranne che ad una parte, e nemmeno maggioritaria, della classe forense) e che ha avuto la capacità di coalizzare contro di esso una platea disparata di soggetti pubblici e privati. Al centro della contestazione, in sostanza, le nuove “esclusive” che il progetto di riforma vorrebbe assegnare agli avvocati nell’area stragiudiziale, con particolare riferimento al segmento delle “conciliazioni”. Per i promotori una (inverosimile) esigenza di garanzia di qualità dei servizi legali per gli utilizzatori finali; per gli oppositori un (palese) scippo di competenze per parare la disgrazia della classe forense italiana (proiettata nel futuro ai margini del mercato per la genetica scarsa propensione al rinnovamento e per l’atavico scollamento dalla realtà del mercato globale). Arduo, in effetti, che una simile serie di forzature giuridiche in palese odore di anticostituzionalità possa superare indenne le forche caudine del Parlamento. Ma siccome siamo in Italia, la culla della fantasia giuridica, dove tutto diviene possibile attraverso manipolazioni interpretative delle norme primarie e pressioni lobbistiche, ben vengano queste insolite coalizioni per evitare che la Consulta debba poi rimediare ai pasticci legislativi. Perché quel che è giusto è giusto: non ci si può arrogare di stare sul mercato per legge. E per di più sul groppone dei cittadini.

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