Corte di Cassazione: non sono deducibili da parte delle imprese le sanzioni antitrust

La Suprema Corte di legittimità, con sentenza n. 5050 del 3 marzo 2010, ha deciso sulla non rimborsabilità delle somme pagate a titolo di sanzione pecuniaria irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Così giudicando, la Corte di Cassazione ha respinto la tesi proposta dalla società ricorrente che, invece, aveva sostenuto la natura di componente passivo deducibile della sanzione irrogata dall’Autorità antitrust ai sensi dell’art. 75 (oggi 109) del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986. Già la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia aveva negato tale natura di deducibilità delle sanzioni comminate dall’Autorità antitrust sostenendo che, pur non esistendo una previsione normativa specifica al riguardo, “la indeducibilità sarebbe in re ipsa, trattandosi di sanzione punitiva di illecito concorrenziale, e non risarcitoria”, carattere che, secondo la ricorrente, ricollegherebbe la sanzione al reddito d’impresa. La società ricorrente, tra i motivi addotti, ha sostenuto l’assimilazione della sanzione irrogata ad un costo dell’esercizio della sua impresa, normalmente deducibile dai ricavi di esercizio. La Suprema Corte non ha, invece, ritenuto di condividere tale impostazione ed in particolare ha ricordato che l’art. 15 della L. n. 287/1990 “prevede che in caso di violazione delle norme che garantiscono la conservazione del carattere competitivo del mercato, venga irrogata una sanzione pecuniaria (amministrativa n.d.r.) fino al 10% del fatturato realizzato da ciascuna impresa nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida”. Il Supremo Collegio cita l’art. 16 del Regolamento del Consiglio CEE 6 febbraio 1962, che prevede analogamente una sanzione “non superiore al 10% del fatturato per le violazioni alle regole di concorrenza del mercato, sanzione comunque da commisurarsi, secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia 28 giugno 2005 n. 189 in Cause riunite C-189-202-208 e 213/2002) non soltanto al fatturato e alle dimensioni dell’azienda, ma alla valutazione del comportamento più o meno incisivo o collaborativo del soggetto che quelle regole abbia infranto”. Ciò significa, secondo la Corte di legittimità, che la sanzione, sia a livello nazionale che comunitario, viene determinata in misura variabile, “fino al 10% dei ricavi” dell’esercizio precedente a quello in cui viene notificata la diffida della violazione, e che tale sistema previsto dalle normative antitrust costituisce semplicemente un parametro utile solo alla determinazione della sanzione da infliggere, tenuto conto del comportamento complessivo dell’impresa responsabile delle violazioni, e non può essere collegato in alcun modo ad un costo di impresa né in riferimento al reddito dell’anno in cui la violazione si è verificata, né a quello degli esercizi precedenti. In sostanza, anche se le sanzioni antitrust vengono ad essere irrogate nell’ambito ed in riferimento all’attività svolta dall’impresa, queste non possono essere assimilate ad un normale costo sopportato dall’imprenditore che svolga la propria attività nell’ambito della liceità, e l’impresa dovrà sopportare la sanzione irrogata e sottostare al suo carattere punitivo e deterrente. Infatti altro è il costo sostenuto dall’imprenditore che decida di investire lecitamente risorse o capitali al fine di uno sperato sviluppo futuro dei propri ricavi, costo che è ovviamente deducibile in sede di determinazione del reddito, altro è il pagamento di una sanzione irrogata per avere violato proprio quelle norme in materia di concorrenza che regolano il buon agire nel mercato, mettendo dunque in atto una condotta illecita che non è detto, a priori, sia fra l’altro rivolta ad un incremento futuro dei ricavi. La sanzione antitrust non può dunque costituire in alcun modo un costo deducibile dai ricavi di esercizio da parte delle imprese. Sostenere il contrario equivarrebbe, secondo la Corte di Cassazione, a “neutralizzare interamente la ratio punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio di imposta, cioè in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust”. (Daniela Asero per NL)

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