DTT, canoni. Pronto decreto Mise per canoni frequenze: applicazione temporanea

Il governo torna sulla questione dei canoni delle frequenze radiotelevisive, con un punto fermo: i nuovi criteri decisi dall’Agcom saranno applicati, anche se si aspettano decreti definitivi che cambino la Legge Monti del 2012.

Secondo alcune indiscrezioni, la soluzione al problema consisterebbe nel far pagare agli operatori di rete un acconto del totale dovuto, in modo che entro il 31 gennaio 2015 la delibera Agcom venga in ogni caso applicata, anche se non in maniera definitiva. L’importo varierà da operatore a operatore e potrebbe essere pari al 40% di quanto pagato da ciascuno nel 2013 (ricordiamo ai nostri lettori che quell’anno la tv di stato aveva sborsato 26 mln di euro, il Biscione 20 mln e Telecom Italia Media 1,5 mln di euro). In questi giorni il decreto è sottoposto al vaglio della Corte dei Conti, alla quale gli operatori hanno chiesto chiarimenti atti alla propria tutela, nel momento in cui verrà rivisto il D.L. n. 16 del 2012, diventato poi Legge Monti, n. 44 del 26 aprile 2012. L’argomento di discussione va ad arricchire l’ennesima pagina in materia di contributi per l’utilizzo delle frequenze televisive, dopo che prima delle festività natalizie era stato bocciato l’emendamento del governo alla Legge di stabilità che includeva la proroga per un anno del regime precedente, in attesa di cambiare la Legge Monti. Un accenno al regime precedente pare comunque doveroso per inquadrare l’attuale situazione: infatti mentre in passato nel mondo televisivo analogico, a pagare i canoni erano i gruppi televisivi nella misura dell’1% del proprio fatturato annuo, con i criteri della delibera Agcom N. 494/14 invece, i canoni sono passati in capo agli operatori di rete del digitale terrestre che detengono le frequenze e che versano i canoni sulla base dei multiplex posseduti, superando il criterio del fatturato. Il problema, secondo il sottosegretario Antonello Giacomelli, è che con il nuovo sistema il gettito sarebbe di molto inferiore rispetto al passato, creando disparità tra gli operatori puri e i grandi gruppi televisivi. Secondo le stime solo nel primo anno l’ammanco statale si aggirerebbe attorno ai 40 mln: “Con il nuovo modello – ha sottolineato il presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Roberto Fico – nel 2014, lo Stato andrebbe a raccogliere quasi 40 milioni di euro in meno rispetto al 2013. In sette anni si perderebbero circa 130 milioni. Nello stesso periodo, invece, la Rai potrebbe risparmiare più di 100 milioni e Mediaset almeno 80”. Il futuro degli operatori dipenderà dunque dalle decisioni dei giudici della Corte dei Conti, che dovranno chiarire come debba essere interpretata la parità di gettito richiesta dalla legge, ossia se sia giusto ritenere che il canone sborsato dagli operatori di rete debba coprire interamente tutto il gettito dell’anno precedente, calcolato però sul fatturato dell’intera attività televisiva e quindi su una base più ampia. Per ora pare invece non esserci nessun orientamento politico su eventuali contributi che dovranno pagare gli editori di contenuti puri (che già pagano per essere trasportati sui multiplex). (V.R. per NL)
 

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