Giornalismo, diritto di cronaca: la giurisprudenza di merito milanese fissa i limiti

Quali sono i limiti del diritto di cronaca secondo il Tribunale di Milano? E a quanto può ammontare il risarcimento del danno per un articolo diffamatorio?

Ad analizzare le sentenze dei giudici milanesi è stata l’avv. Sabrina Peron, che in una pubblicazione sulla rivista “Responsabilità civile e previdenza”, edita da Giuffrè, ha tracciato l’orientamento giurisprudenziale del Foro di Milano in tema di articoli diffamatori. Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta. La giurisprudenza di merito non richiede il consenso dell’interessato alla pubblicazione di notizie che lo riguardano, a condizione, però, che ciò avvenga nei limiti del diritto di cronaca, e quindi, oltre alla correttezza nell’esposizione dei fatti e la loro verità, è necessario che il giornalista riporti dei fatti di rilevante interesse pubblico. Infatti, il diritto di cronaca giustifica intromissioni nella sfera privata qualora la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Certo è che il confine della rilevanza pubblica della notizia non è spesso così ben definito. Altro pilastro del diritto di cronaca, come poc’anzi detto, è la verità dei fatti che riporta, il che impone al giornalista di verificare attentamente le fonti dalle quali trae spunto per i propri articoli. A tal proposito, l’articolo di un altro giornalista non può ritenersi di per sé fonte attendibile. In sede di esercizio del diritto di satira, invece, non sussiste l’obbligo del rispetto della verità, sempreché non si concretizzi in una gratuita denigrazione altrui. Sempre a riguardo della verità dei fatti, nel caso di un’intervista, secondo i giudici milanesi il giornalista non è tenuto a verificare la veridicità delle dichiarazioni rese dall’intervistato, purché ne riporti il contenuto in maniera imparziale e distaccata. Entro tali limiti, pertanto, non risponde delle dichiarazioni rese dall’intervistato, neppure qualora contengano delle accuse ad un altro soggetto. In questo caso, però, deve garantire il diritto di replica dell’accusato, proprio per dare ai propri lettori la possibilità di conoscere entrambe le posizioni. Fa eccezione il caso in cui le accuse costituiscano la notizia e questa sia di particolare interesse pubblico. Sempre riguardo alle offese ad un terzo soggetto riportate da un giornalista, il Tribunale di Milano ritiene che la TV sia un veicolo di diffusione delle informazioni più pericoloso della stampa, in quanto non consente, a differenza del giornale, una più attenta rilettura dell’articolo, inducendo così il lettore ad assorbire pedissequamente quando udito in TV. Tuttavia (e a parere di chi scrive, paradossalmente), l’offesa formulata in internet è considerata dalla giurisprudenza di merito più grave, seppur la rimozione dell’articolo diffamatorio escluda la condanna alla pubblicazione della sentenza. Non è richiesta, invece, la rimozione totale dell’articolo solo in parte diffamatorio. Un trattamento a parte trova il diritto di critica, che consiste in un pubblicazione con un contenuto esclusivamente valutativo e si sviluppa all’interno di una polemica su temi di particolare rilevanza sociale. In questo caso, sono ammesse espressioni più pungenti, che non sono considerate offensive se attengono a materia di particolare rilievo sociale e non si traducano in offese gratuite. Il diritto di critica trova terreno fertile nell’ambito dello scontro politico, dove i toni sono inevitabilmente più accesi; in ogni caso, per il Tribunale di Milano, il diritto di critica politica non può tradursi in un gratuito attacco personale, svincolato da un effettivo contesto di scontro. A questo punto, qualora i limiti tracciati dalla giurisprudenza in tema di scriminanti del reato di diffamazione non venissero rispettati, quali sono i danni che si possono chiedere? Appare pacifico che la diffusione di notizie false è causa di un turbamento morale, oltreché di una lesione del diritto all’immagine e della stima sociale, il che si traduce, di fatto, in un danno cosiddetto “non patrimoniale”. Questo danno viene liquidato discrezionalmente dal giudice, applicando una serie di parametri quali, ad esempio, la natura del fatto falsamente attribuito e/o la gravità delle espressioni utilizzate; il dolo della parte; i mezzi di comunicazione utilizzati; lo spazio e il rilievo attribuito all’articolo diffamatorio; la ruolo ricoperto dall’offeso al momento della diffamazione e le conseguenze a suo carico derivate dall’articolo offensivo. Viene valutata anche la rettifica eventualmente fatta dell’articolo diffamatorio, che deve essere contenuta nel limite delle trenta righe e che non fa venire meno il diritto al risarcimento del danno della parte danneggiata, ma semmai, può consentirne la riduzione. Mediamente, è stato calcolato nella misura di € 28.000,00 il risarcimento concesso per un articolo diffamatorio. (D.G. per NL)
 

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