Informazione all-digital in Italia: ancora alla ricerca del modello sostenibile

Circa un anno fa ci occupammo dello stato di alcuni siti di news online italiani, in particolare Il Post, Linkiesta e Lettera 43, cercando di capire se e come le testate all-digital nel nostro paese potessero sopravvivere ed eventualmente far evolvere progetti in grado di autosostenersi lavorando solo ed esclusivamente in rete.

I modelli di business alla base delle esperienze editoriali prese in considerazione erano (e sono) sostanzialmente differenti, ma nessuno sembrava essere particolarmente promettente in termini di sostenibilità, salva l’inevitabile sospensione del giudizio considerata la natura di start-up delle testate e il loro essere nate in tempo di crisi, con un mercato pubblicitario in forte contrazione (ad eccezione però proprio dell’online). Ad un anno di distanza, lo scenario non sembra essere un granché mutato. Per tutti e tre i gruppi editoriali, a fronte di piccoli aumenti di fatturato, costi e perdite rimangono rimarchevoli, e il bilancio è ben lontano dal pareggio, per non parlare del miraggio degli utili. In questo lasso di tempo una delle tre testate (Linkiesta) ha subito un cambio di direzione piuttosto traumatico, con l’abbandono polemico dei fondatori: fatto, quest’ultimo, che non ha sicuramente contribuito a rafforzare la reputazione e l’identità di un progetto che alla sua partenza appariva uno dei più interessanti del settore. Nel contempo è naufragato, nell’inconsistenza delle adesioni, anche il tentativo di soft-paywall. Il Post ha accumulato un milione di euro di perdite in tre anni, mentre News 3.0 (editore di Lettera 43) continua ad investire nel suo network di siti specializzati senza però riuscire ad ottenere ritorni apprezzabili. Si parla ancora di fase di start-up, ma per iniziative nate da tre anni e più la definizione è ormai un po’ stretta: in mercati diversi da quello italiano, probabilmente, bilanci del genere avrebbero imposto drastici cambi di rotta, se non l’abbandono dei progetti. Resta quindi irrisolto il dilemma che attanaglia il mondo dell’editoria italiana dall’avvento del web: in che modo costruire servizi di informazione online che funzionino e producano i ricavi necessari per essere autosufficienti. A questo proposito è interessante andarsi a leggere il rapporto “Chasing Sustainability on the Net : International research on 69 journalistic pure players and their business models” dell’Università di Tampere (Finlandia), dove si esaminano appunto 69 casi di siti giornalistici all-digital in Europa, USA e Giappone. Nel capitolo dedicato all’Italia si evidenziano alcune delle caratteristiche peculiari che nel nostro paese si frappongono allo sviluppo del settore delle News online: in sostanza, bassa penetrazione dell’uso di internet (dovuto soprattutto alla scarsa diffusione della banda larga), strapotere del mezzo televisivo, informazione online monopolizzata dalle estensioni web dei principali quotidiani di carta (Repubblica e Corsera in testa). Fattori in gran parte strutturali e di non facile soluzione. L’attenzione ai contenuti, che già non sembrava essere la carta vincente un anno fa, si conferma elemento non decisivo. Un’altra ricerca, condotta da Human Highway per Liquida, dimostra infatti che testate come Il Post e Linkiesta sono assai valutate come qualità dei giornalisti, affidabilità delle notizie e capacità di approfondimento. Questo non è però sufficiente a spostare i lettori dal dominio della stampa ibrida cartaceo-digitale. Semmai l’all-digital funge da complemento, come scelta secondaria. Dallo stesso studio emerge che l’unica vera novità di successo sullo scenario dell’informazione nel nostro paese è rappresentata da Il Fatto Quotidiano, non a caso nato sulla carta e poi traghettato (anche) sul web. Quali allora le vie d’uscita per chi si ostina ad avventurarsi nei territori delle news online? Abbandonata l’idea di mettersi in concorrenza con i grandi quotidiani nazionali, diventa d’obbligo la ricerca di settori complementari o poco presidiati. A questo proposito la ricerca finlandese, citando due casi di successo (Varese News e YouReporter) cita la superlocalizzazione e il citizen journalism come possibili aree di sviluppo. La grande espansione della fruizione di notizie dai device mobili è vista come un’opportunità, ma anche qui è probabile che saranno i grandi brand giornalistici a spingere il mercato, soprattutto se saranno in grado di favorire l’ampliamento della base di mercato, come negli USA, sovvenzionando l’acquisto di tablet e simili in bundle con le proprie edizioni digitali.  Altre possibili soluzioni si affacciano tra le righe: crowdfunding (quanto praticabile in Italia?), registration wall (per profilare la propria nicchia di utenti e diventare più appetibili agli inserzionisti), attività alternative extragiornalistiche (e-commerce, consulenza, formazione, ecc.) in grado di generare profitti al di fuori del tradizionale canale pubblicitario… Insomma, mentre il New York Times annuncia di aver ripreso a produrre utili grazie ai propri abbonati digitali (la bellezza di 738.000…), qui dobbiamo ancora una volta accontentarci dei buoni risultati di Dagospia: la via per le testate di news all-digital italiane si profila ancora impervia. La speranza è che non vada disperso un piccolo ma prezioso patrimonio di esperienza sulla strada del rinnovamento del settore dell’informazione nel nostro paese. (E.D. per NL)
 

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