Pubblicità: il behavioural targeting approda anche sulle smart TV

Era solo questione di tempo: la convergenza dei media, sempre più orientata verso il modello internet, produce ibridazioni e nuovi modelli di fruizione.

Così sono nati e proliferano gli apparecchi televisivi smart, o “connessi” che dir si voglia, che rendono trasparenti le tecnologie e i mezzi di trasmissione, ma soprattutto introducono il canale di upload, l’interattività, il feedback bidirezionale tra chi produce e chi fruisce il flusso multimediale. Si rende così necessario abbandonare la filosofia del broadcasting, vera e propria incarnazione del “mezzo di comunicazione di massa”, per approdare ai lidi della personalizzazione e del canale individuale. Affermazione valida sia per i produttori di contenuti che, a maggior ragione, per i pubblicitari. Ciò che nel mondo dell’advertising online è già realtà consolidata, ovvero il behavioural targeting, sta per approdare anche nel mitico salotto televisivo casalingo (forse anch’esso un mito da sfatare, ma non subito, almeno nel nostro paese). Le smart TV infatti, e i set-top-box altrettanto “intelligenti” per la televisione digitale, non sono altro che dei personal computer più o meno camuffati dietro interfacce accattivanti e idiot-proof. Nel momento in cui si connettono alla rete, essi si (ci) rendono univocamente identificabili e raggiungibili. E allo stesso modo possono far sapere ai fornitori di connettività le nostre preferenze, gusti e abitudini. Così, solleciti e servizievoli advertiser potranno, così come già fanno in rete, inviarci messaggi “mirati” e appositamente confezionati per noi. All’avanguardia in questo settore è BSkyB, provider satellitare del Regno Unito, che, grazie alla propria identità ibrida di fornitore di accesso internet ed emittente televisiva, si trova avvantaggiato nel fornire servizi e apparecchi riceventi personalizzati. La strada è già tracciata: si tratta solo di vedere se la diffusione delle smart TV sarà pari alle aspettative, anche se nessuno mette in dubbio che il futuro del video (e della pubblicità) sia su internet. Ovviamente sullo sfondo rimangono i noti problemi di privacy, che peraltro non sembrano per ora aver impedito al behavioural targeting di espandersi sulla rete. Il profiling degli utenti è una tecnica ormai consolidata, e tutti assicurano che i dati sono assolutamente anonimizzati. Affermazione fuorviante, in quanto la questione non è sapere se siano memorizzati nomi o codici, quanto piuttosto quale sia il grado di rischio che questi enormi database, in cui sono custodite buona parte delle nostre vite, possano essere usati per qualcosa di più pericoloso o dannoso del semplice advertising. Diventa cruciale la trasparenza su soggetti, tempi e scopi di queste gigantesche operazioni di tracciamento. C’è spazio insomma per una regolamentazione consapevole, possibilmente non autoprodotta. Un altro lavoro per le istituzioni di settore. (E.D. per NL)

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