Radio digitale: in USA avanti senza forza e convinzione mentre in Europa si testa e si spera

Nelle more degli esiti del beauty contest in Trentino Alto Adige per i consorzi nazionali con formato DAB+, facciamo il punto della situazione sul mercato radiofonico digitale negli Stati Uniti.

A riguardo, Andrea Lawendel, giornalista esperto di cose radiofoniche e blogger del seguito Radio Passioni, ha dedicato attenzione alla radio digitale statunitense in un recente post attraverso una sostanziale recensione alla pubblicazione di John Nathan Anderson, "Radio’s Digital Dilemma: Broadcasting in the Twenty-First Century". "Anche se non mancano cenni riguardanti la situazione in Europa e in altre parti del mondo, Anderson si è soffermato sul caso della transizione al digitale negli Stati Uniti, dove il sistema HD Radio ha però registrato un imbarazzante insuccesso commerciale", annota Lawendel. "Visto che il sistema ibrido (trasmissione mista del segnale analogico e digitale) messo a punto da IBOC risulta meno traumatico rispetto al DAB, per il momento gli USA non si sono posti il problema di una eventuale regolamentazione della digitalizzazione della radio, lasciando che il mercato decidesse sulla validità del sistema", con un approccio legificatorio tipico della cultura politica italiana. Sul piano concreto, Lawendel osserva come il verdetto del mercato parli "di un forte investimento privato in una tecnologia che è stato adottato, ma solo parzialmente, sia dalle stazioni private che facevano capo agli investitori di HD Radio, sia nelle stazioni "Public Radio" che hanno creduto molto nella radio digitale e hanno potuto approfittare di sovvenzioni pubbliche. A fronte di queste spese, il numero di stazioni FM che hanno adottato lo standard IBOC è lontano dall’essere maggioritario, mentre le stazioni in onde medie sopravvissute sono davvero poche. Delle circa 4.500 stazioni attive (forse meno) meno di 200 utilizzano la doppia trasmissione oggi, con un picco di circa 300 raggiunto qualche anno fa. L’ipotesi di Anderson è che tutta la questione della radio digitale sia viziata dalla scarsa lungimiranza di un approccio calato dall’alto e basato su un semplice concetto di sostituzione (quello del tipo di modulazione) nei confronti di un medium considerato come un fenomeno a sé stante, senza la dovuta attenzione da porre al ricco e variegato contesto mediatico in cui la radio è venuta a trovarsi". Insomma, una migrazione partita un po’ controvoglia e senza particolare convinzione anche lì, par di capire. E, del resto, un pò per la crisi economica, che evidentemente interessa sia gli operatori (che dovrebbero effettuare consistenti investimenti) che l’utenza (che dovrebbe acquistare ricevitori), le sperimentazioni della radio digitale in Europa sono entrate in stallo e il medium in chiave numerica rimane on air solo con gli impianti pianificati prima della restrizione dei cordoni delle borse. In attesa di tempi e forse idee migliori (M.L. per NL)

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