Radio. Inattività impianti FM, applicazione art. 52 c. 3 D. Lgs. 177/2005

Recentemente, la D.G.S.C.E.R. del Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni ha applicato la procedura prevista dall’art. 52 c. 3 del D. Lgs. 177/2005, estendendolo, a quanto noto per la prima volta, all’ambito radiofonico.

Detta norma prevede che “In caso di mancato rispetto dei principi di cui all’articolo 42, comma 1, o comunque in caso di mancato utilizzo delle radiofrequenze assegnate, il Ministero dispone la revoca ovvero la riduzione dell’assegnazione. Tali misure sono adottate qualora il soggetto interessato, avvisato dell’inizio del procedimento ed invitato a regolarizzare la propria attività di trasmissione non vi provvede nel termine di sei mesi dalla data di ricezione dell’ingiunzione”. Nel merito, era accaduto che, a seguito di controlli del locale Ispettorato Territoriale, un’emittente radiofonica era stata rilevata inattiva su uno dei propri impianti di radiodiffusione sonora, regolarmente censito ex art. 32 L. 223/1990, ed era stata conseguentemente invitata a giustificare tale circostanza nonché diffidata a ripristinarne l’esercizio nel termine di cui al predetto art. 52 c. 3 D. Lgs. 177/2005 (sei mesi). Per parte propria, l’impresa radiofonica aveva giustificato l’inattività e provveduto a riattivare l’impianto, ma solo pochi giorni dopo la scadenza del termine assentito. La motivazione a fondamento dell’inattività non era stata però considerata valida dall’I.T. procedente, che aveva invitato la D.G.S.C.E.R ad applicare la sanzione prevista dal richiamato art. 52 c. 3 D. Lgs. 177/2005. Recependo l’invito dell’I.T., la D.G.S.C.E.R. preso atto che “nel corso del periodo di osservazione di sei mesi, previsto dallo stesso art. 52 comma 3 del D. Lgs. 177/2005 e fino a tutto il mese di (omissis) l’impianto è risultato sempre spento” disponeva che “a partire dal (omissis) l’esercizio della freq. (omissis) dell’impianto di (omissis), temporaneamente concesso a (omissis) da questa Amministrazione ai sensi dell’art. 32 della L. 223/90, è tornato nella disponibilità dello Stato e pertanto è da considerarsi nullo ogni suo trasferimento”. La questione merita, ad avviso di chi scrive, un puntuale approfondimento, in quanto l’estensibilità di una norma specificatamente prevista per l’ambiente televisivo digitale all’ambiente radiofonico analogico non pare condivisibile. Nel dettaglio, il prolungato mancato esercizio di un impianto di radiodiffusione sonora analogico sarebbe sanzionato, secondo la prospettazione della P.A., dai commi 3 e 4 dell’art. 52 D. Lgs. 177/2005, da leggersi, per definizione, in relazione al contenuto del comma 1 dell’art. 42 e del comma 3 dell’art. 24 della medesima fonte giuridica. L’art. 52 c. 3 D. Lgs. 177/2005 regola l’utilizzo di frequenze “assegnate”. Invece e come noto, l’esercizio dell’attività di radiodiffusione sonora in tecnica analogica ha luogo in assenza di un Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze; ragion per cui nessuna frequenza è stata formalmente assegnata alle emittenti radiofoniche risultate positive alla verifica dei requisiti ex L. 66/2001 e ss. mm. e ii. (e quindi legittimate ad operare nelle more della migrazione alla tecnologia digitale). Consegue da ciò che qualsiasi procedimento amministrativo ex art. 52 c. 3 D. Lgs. 177/2005 avviato a carico di emittenti radiofoniche, attesa l’applicazione di una norma ad un caso da essa non regolato, sarebbe contaminato dalla figura della falsa applicazione (della norma), da collocarsi nell’alveo del vizio di legittimità per violazione di legge. Inoltre, la lettura testuale dell’art. 52 D. Lgs. 177/2005 (rubricato “Sanzioni di competenza del Ministero”) non lascia dubbio sul fatto che il procedimento amministrativo di cui al c. 3 del medesimo articolo sia di competenza degli organi centrali del Ministero dello Sviluppo Economico e non certamente di una sua diramazione periferica (qual è l’Ispettorato Territoriale). Più a fondo, poiché le conseguenze dell’applicazione della norma si riverberano sull’assegnazione frequenziale (disposta dal Ministero) è evidente che il procedimento dovrebbe sin dall’origine essere avviato dall’organo che emetterà il provvedimento finale (nella specie, la D.G.S.C.E.R. del MSE-Com). Deriva da ciò che un procedimento avviato da un Ispettorato territoriale (a prescindere dalla sua illegittimità per l’assorbente censura di cui al punto che precede) soffrirebbe di incoerenza tra l’organo che lo ha (illegittimamente) avviato (l’I.T.) e l’organo che lo ha concluso (la D.G.S.C.E.R., unico organo competente ad avviare e concludere il procedimento, col mero contributo tecnico dell’I.T.) , cioè un vizio di legittimità che comporta l’annullabilità dell’atto. Ad ogni modo, definitivi chiarimenti sulla questione, salvo un intervento di revoca in autotutela dell’atto ablativo da parte del MSE-Com, con ogni probabilità giungeranno dai giudici amministrativi aditi dall’emittente interessata. (M.L. per NL)
 

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