Tv. Consulta: sì a differenziazione affollamenti pubblicitari tra pay e free tv

La Corte costituzionale (Presidente Criscuolo, relatore Amato), con sentenza n. 210/2015 depositata il 29 ottobre u.s., si è pronunciata sul giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 5 del D.lgs n. 177/2005 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), sostituito dall’art. 12 del D.lgs n. 44/2010, promosso dal Tar del Lazio con ordinanza del 17 febbraio 2014.

Secondo quanto contemplato dalla suddetta norma “La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere per l’anno 2010 il 16 per cento, per l’anno 2011 il 14 per cento e, a decorrere dall’anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva”. A dire della Consulta, da parte del Governo non si è verificata alcuna violazione della legge delega nel dare attuazione alla direttiva comunitaria n. 2007/65/CE. A conferma di quanto espresso, la Consulta rileva l’art. 3 della citata direttiva, che consente agli Stati membri di definire, per i fornitori di servizi di media sottoposti alla loro giurisdizione, norme più rigorose o esponenzialmente più dettagliati nei settori ricompresi e coordinati dalla direttiva, a condizione, lo ricordiamo, che tali norme siano conformi al diritto comunitario. All’interno dei confini delineati dal diritto dell’Unione europea si profila, pertanto, il consenso a disposizioni nazionali più rigorose in materia di pubblicità televisiva. La Corte Costituzionale evidenza, inoltre, come le pay tv si trovino in una situazione differente, dal punto di vista oggettivo, da quella delle emittenti in chiaro, per quanto concerne l’incidenza economica dei limiti di affollamento pubblicitario sulle modalità di finanziamento delle stesse emittenti: “L’art. 38 del D.lgs 177 del 2005 – afferma la Corte – nel modulare i limiti di affollamento pubblicitario in funzione delle oggettive diversità degli operatori, risulta coerente con la ratio della direttiva, in quanto volta a realizzare la equilibrata tutela degli interessi delle emittenti televisive, da un lato, e di quelli dei consumatori-telespettatori, dall’altro”. In ultimo, la Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 41 Cost, proprio perché il legislatore statale “può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire, tra l’altro, la coerenza dell’ordinamento interno con gli obiettivi di armonizzazione stabiliti dalle direttive europee”. La Consulta dichiara, poi, che “Nel caso in esame, la disciplina nazionale oggetto di censura si conforma a quella europea, nella quale – come sottolineato dalla stessa Corte di giustizia nella sentenza 18 luglio 2013, in causa C-234-12 – i principi e i criteri direttivi delle disposizioni relative all’affollamento pubblicitario televisivo mirano a realizzare la protezione dei consumatori, ed in particolare dei telespettatori, oltre che la tutela della concorrenza e del pluralismo televisivo. In tali obiettivi si ravvisa, in modo inequivoco, quella “finalità sociale” che appare in sé idonea a giustificare la misura normativa in esame.” Sicuramente la sentenza espone con analitica obiettività la legittimazione della differenziazione degli affollamenti pubblicitari delle pay tv rispetto a quelli delle tv in chiaro: possiamo ora auspicare un tempestivo intervento normativo teso a ridurre ulteriormente gli spazi pubblicitari delle pay tv, poiché le stesse, basando la propria attività sui ricavi derivanti dalle carte prepagate e dagli abbonamenti, possono vendere gli spazi per i messaggi pubblicitari a prezzi molto più ridotti di quelli praticati dalle tv locali, con conseguenze piuttosto palesi per il mercato pubblicitario. (S.F. per NL)

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