Tv online. Cresce il consumo di streaming on demand e in mobilità, soprattutto fra i giovani

Dati Ericsson: i più giovani preferiscono lo streaming e il mobile alla tv tradizionale e le emittenti cercano di seguire la nuova tendenza, ma le infrastrutture italiane sono ancora carenti.
Continua la crescita del consumo di contenuti video attraverso la formula dello streaming on demand. I dati sono dello studio annuale “Tv & Media 2015” di Ericsson ConsumerLab, basato su un campione rappresentativo della popolazione online costruito su 20 paesi (fra cui anche l’Italia) su modalità e tipologie di contenuti video consumati. Oltre la metà della popolazione della rete usufruisce abitualmente di servizi di streaming, stimando di dedicarvi circa sei ore a settimana, più del doppio rispetto al 2011. Rimane ancora la televisione il medium più popolare, ma utilizzato per un 82% da persone di età compresa fra i 60 e i 69 anni. Fra i così detti millenials, utenti appartenenti alla fascia compresa fra i 16 e i 34 anni, è il 60% ad utilizzarla abitualmente e la metà di tutti gli utenti televisivi dichiara di “non riuscire a trovare qualcosa da vedere almeno una volta al giorno”. Fra tutti i contenuti visualizzati, sono serie tv e film i più gettonati, che raccolgono oltre la metà del totale delle ore dedicate al consumo di contenuti video; la preferenza per visionare questo genere di programmi sta sempre di più migrando online dalla televisione classica. Inoltre, il 53% dei già citati millenials usufruisce di contenuti video preferibilmente attraverso dispositivi mobili quali smartphone, laptop e tablet. La televisione sembrerebbe più solida su altri contenuti, come eventi live (soprattutto sportivi) o news. Questo aspetto è stato sottolineato anche dal direttore generale della RAI Antonio Campo Dall’Orto. Durante la sua prima audizione in Commissione di Vigilanza tenutasi il 28 ottobre, Dall’Orto ha mostrato interesse nel concentrarsi proprio sull’on demand e la visione in mobilità, “due elementi irreversibili” che conducono verso un nuovo scenario di consumo. E la RAI non è certo la prima a pensarla così: già dal 2009 Sky on demand ha fatto la sua comparsa in rete e nel 2013 il gruppo Mediaset ha lanciato la sua Infinity TV. Insomma, i soliti noti del mercato televisivo italiano sembrano riconoscere l’importanza di presidiare il nuovo canale adeguatamente. La rete apre anche maggiormente le porte alla concorrenza in un mercato che in Italia è da sempre molto concentrato. A destare maggiore attenzione è stato l’arrivo nel nostro paese di Netflix, gigante americano dello streaming on demand. Il suo ceo, Reed Hastings, arriva a definire il suo business come “la più grossa rivoluzione nel mondo della televisione, molto di più dell’avvento del colore”. In aumento anche i dispositivi a supporto di questa metodologia di fruizione: continuano ad aumentare le smart tv, televisioni in grado di connettersi a internet, che già nel 2013 riportavano un trend di crescita del 50% soltanto nel primo trimestre, e i set top box, apparecchi in grado di far connettere alla rete anche le televisioni di vecchia generazione. Nonostante l’entusiasmo per le web tv, nel nostro paese si fa ancora sentire la questione riguardante la larghezza di banda. In Italia la fibra ottica non copre ancora tutto il territorio nazionale (alcuni operatori forniscono banda larga solo in due o tre città del paese). Inoltre, è in uso ancora la tecnica chiamata fiber to the cabinet, con la quale il segnale viaggia sulla fibra ottica soltanto fino alla cabina esterna ma non nelle case degli utenti. Come evidenziato da Simone Bonannini, amministratore delegato della sezione italiana di Interoute, società di telecomunicazioni che gestisce una rete in fibra ottica che attraversa tutta l’Europa, il problema sta nel fatto che “quando quella cabina invece di servire 5 clienti, che necessitano di 80 mega, dovrà fornire connessione a centinaia o migliaia, si comincerà ad avvertire un rallentamento che potrà essere colmato solo con la connessione in fibra sotto ogni appartamento”. La difficoltà, prosegue Bonannini, sta nel fatto che “gli operatori italiani sono pieni di debiti e non hanno la forza economica per sostenere la trasformazione tecnologica del paese” e dunque l’unica soluzione possibile è “un ente pubblico” che si occupi sia di modernizzare le infrastrutture esistenti che di assegnare licenze di utilizzo. In questo senso, un primo timido passo viene mosso a Roma grazie alla delibera Tetti Puliti che punta all’introduzione di impianti condominiali centralizzati di ricezione del segnale TV che potranno anche essere sfruttati per distribuire servizi di fonia e connettività a banda larga. (E.V. per NL)

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