Tv. Se è Murdoch a salvare il pluralismo in Italia …

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Murdoch? Il magnate australiano? Puntate sullo Squalo per salvare il vostro pluralismo?”, chiede stupito il cronista inglese che sta intervistando, a Bruxelles, il presidente di Altroconsumo, Paolo Martinello.

Murdoch è un tassello imprescindibile per l’evoluzione democratica dei nostri media”, risponde quello. Sì, Rupert Murdoch il monopolista, lo Squalo che ha stritolato il sistema dei media in Regno Unito e si è preso una bella fetta quello di statunitense. Proprio lui, il tycoon che possiede l’impero mediatico più vasto e potente del mondo, che quando decide di dare un’impronta conservatrice ai suoi media è in grado di plasmare le opinioni pubbliche di mezzo mondo occidentalizzato. Ma noi siamo in Italia, dolcezza, e senza il potere che Murdoch e il suo impero satellitare hanno acquisito negli ultimi due lustri a casa nostra, ci troveremmo stritolati in una morsa, tra due attori che fanno lo stesso gioco, gli stessi interessi, che cercano di spartirsi le stesse torte. Un articolo apparso questa mattina sul sito de L’Espresso inizia con le affermazioni di Paolo Martinello, rilasciate a un cronista d’Oltremanica, e prosegue con un excursus storico degli ultimi, infuocati, ventiquattro mesi, quelli in cui l’Italia ha intrapreso un cammino, non ancora portato a termine, verso la digitalizzazione completa della tv sul suo territorio. Questa sarebbe dovuta avvenire entro il prossimo anno, ma si parla di un nuovo calendario e del tentativo di portare a termine lo switch off entro il 2011. Tutto ebbe inizio nel 2009, con la delibera Agcom n. 181, quella che diede ai natali a quellaantenne20radio tv 1 - Tv. Se è Murdoch a salvare il pluralismo in Italia … creatura che il Ministero per lo Sviluppo Economico, allora in mano a Scajola (il cui vice con delega alle tlc era Paolo Romani, attuale ministro), ribattezzò come “beauty contest”: un concorso di bellezza con in palio frequenze, una gara dove invece che l’offerta economica la condizione per vincere era l’aspetto esteriore, la qualità del prodotto. Tanto di cappello a questa nobile iniziativa, che per una volta sembrava dare la possibilità a tutti di guadagnarsi il proprio spazio in un mercato troppo spesso monopolizzato da pochi, grandi, giganti. Sì, però la qualità di un prodotto dipende in gran parte dai mezzi che si hanno a disposizione e, siccome la delibera dell’Authority prevedeva due gare, una peri nuovi entranti sul mercato e l’altra anche per chi già trasmetteva in analogico su meno di cinque canali (ossia tutti, inclusi i vecchi monopolisti), la gara era aperta anche a Rai e Mediaset (e La7). Lo Stato italiano, quindi, che piange miseria e le cui Finanziarie si fanno ogni anno più “lacrime e sangue”, decide di regalare pezzi di spettro senza aver niente in cambio se non la certezza di un buon prodotto. Il beauty contest, definizione utilizzata per chiamare il regalo governativo che prende il nome di dividendo interno, non avrebbe previsto, nella sua versione originaria, l’accesso di Sky alla gara. Motivo? La sua posizione dominante sul mercato satellitare. Tom Mockridge, però, guidato da quel Rupert Murdoch nemico del pluralismo nel mondo ma amico non disinteressato di quello italiano, aveva promesso battaglia su questa decisione e a luglio 2010 era riuscito a portare a casa la decisione della Commissione Europea che – a patto di trasmettere per cinque anni in chiaro, sul digitale – dava il via libera all’ingresso di Sky nel mercato del dtt e, quindi, anche al beauty contest. La decisione aveva mandato su tutte le furie Mediaset, i suoi vertici e, guarda caso, anche il futuro ministro Romani. Quel ministro che alcuni cable di Wikileaks definiscono colui che “guida gli sforzi nel governo italiano per aiutare Mediaset” (frase pronunciata dall’ambasciatore americano a Roma, David Thorne). Altra tappa della nostra Via Crucis verso la rivoluzione digitale targata Governo Berlusconi è l’asta del cosiddetto dividendo esterno, le nove frequenze da destinare alla banda larga mobile (secondo indicazioni europee) e attualmente in mano – rigorosamente – a emittenti locali (frequenze-cerotto della sfortunata Europa 7 a parte), cui il ministero ha deciso di destinare, come parziale contropartita per l’espropriazione (editori locali continuavano, fino a pochissimi mesi, a comprare, davanti agli occhi del ministero e dell’Agcom, porzioni di questo spettro, destinate già da un anno agli operatori tlc), solo 240 milioni di euro, da suddividere tra un paio di centinaia di editori. Questa quota equivarrebbe al 10% dei 2,4 miliardi che Tremonti, seguendo l’esempio tedesco (che ne ha fruttati circa il doppio!), ha programmato di incassare dall’asta. Che, tra l’altro, si preannuncia quasi deserta, dal momento che gli operatori tlc iniziano a nutrire più d’una perplessità riguardo l’acquisto di frequenze non libere e su cui le tv locali stanno dando battaglia. “Prevarrà la paura di vincere canali indisponibili”, dice Marco Rossignoli di Aeranti-Corallo.  Ma questa è l’italian way di arrivare all’all-digital. E la strada da fare è ancora lunga. (G.M. per NL)

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