DTT: mentre si spinge su dividendo esterno e si impaluda quello interno, i giudici amministrativi vogliono vederci chiaro su procedure assegnazione in AT3

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Cominciano a formarsi crepe nella contestatissima gestione congiunta MSE-Com/Agcom della transizione al digitale terrestre.

I giudici amministrativi, ritenendo le richieste di misure interinali contro le determine di assegnazione dei diritti d’uso temporanei per le frequenze digitali nell’Area Tecnica 3 non sprovviste del fumus boni iuris (requisito essenziale insieme al periculum in mora per l’accoglimento delle domande cautelari), hanno nei giorni scorsi ordinato la produzione di documentazione integrativa al MSE-Com per verificare se le censure degli operatori di rete locali siano effettivamente fondate. E, nelle more, sono arrivati a sospendere provvedimenti ablativi degli organi ministeriali nell’utilizzo di taluni canali. Intanto, l’esecutivo allo sbando preme per l’assegnazione del dividendo esterno (canali UHF da 61 a 69 ed altri eventualmente disponibili), incentivando azioni di controllo anzitempo da parte degli Ispettorati Territoriali (che porteranno inevitabilmente motivi aggiunti nei ricorsi giudiziari incardinati, oppure innescheranno procedimenti autonomi). Nel mentre, si frena sul dividendo interno, quello, per intenderci, che dovrebbe (il condizionale a questo punto è d’obbligo) portare all’ingresso nel mercato di nuovi operatori di rete nazionali (e con essi fornitori di servizi media), con in testa Sky. E nel marasma, scendono in campo anche i consumatori: l’associazione Altroconsumo “ha ribadito formalmente alla Commissione europea il parere positivo sul fatto che Sky possa trasmettere in chiaro contenuti televisivi sul digitale terrestre, attraverso l’assegnazione di frequenze DTT”. “Ogni iniziativa diretta ad ampliare agli utenti l’offerta di contenuti televisivi in chiaro deve essere sostenuta e stimolata – spiega l’ente esponenziale in una nota – Ancora oggi, come già denunciato da Altroconsumo nel 2006 alla Commissione Europea, si ripropone nel passaggio al digitale il duopolio che in Italia ha caratterizzato la diffusione di contenuti televisivi, Mediaset e RAI, assetto anticoncorrenziale su cui pende una procedura d’infrazione CE nei confronti del Governo italiano. RTI è ricorsa al Tribunale dell’Unione europea, chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione europea che permettantenne20radiotelevisive20traliccio20con20selva 1 - DTT: mentre si spinge su dividendo esterno e si impaluda quello interno, i giudici amministrativi vogliono vederci chiaro su procedure assegnazione in AT3e a Sky di entrare nel digitale terrestre. Ma l’ingessatura del mercato delle frequenze tv continua anche nei palazzi della Capitale. Il Governo, tramite il ministro Romani, chiedendo un ulteriore parere al Consiglio di Stato, sta rallentando l’avvio della gara per l’assegnazione delle nuove frequenze del DTT, gara che vedrebbe partecipare anche Sky. Diversi attori istituzionali in gioco, come l’Agcom, a cui è stato chiesto il parere dal Consiglio di Stato, hanno dato risposte positive all’ingresso di Sky in quanto nuovo concorrente nell’offerta in chiaro. Che a decidere le sorti del mercato tv in Italia, dopo che anche l’Europa si è detta favorevole all’ingresso di nuovi soggetti televisivi, sia l’unica azienda privata interessata a mantenere il proprio status di monopolista insieme alla tv di Stato è indice di sistema malato dove sono saltate tutte le regole del gioco”, conclude l’associazione. Intanto, il ritardo nella definizione delle procedure per il beauty contest favorisce il consolidamento dei superplayer: Mediaset sperimenta le nuove tecnologie digitali HD sul canale UHF 58, cioè una delle frequenze del dividendo interno (forse la migliore), aggiungendo un multiplexer a quelli di cui già dispone ed intensifica l’offerta con nuovi programmi, aumentando la distanza con i nuovi competitor che (semmai arriveranno) troveranno una situazione consolidata difficile da aggredire. Sul fronte delle locali il divieto alla veicolazione di contenuti nazionali su consorzi di tv locali introdotto dalla legge di Stabilità comincia a mostrare i propri effetti deleteri per le tv minori, indirizzando i content provider importanti verso i lidi giuridicamente più sicuri degli operatori di rete nazionali. Gli editori locali, che si preparano a protestare ufficialmente nei prossimi giorni, sanno che sul punto si gioca la sopravvivenza delle loro imprese. Col divieto di ospitare grandi fornitori di contenuti la commercializzazione di capacità trasmissiva viene letteralmente azzoppata ed il rischio è di doverla quasi regalare per riempire i multiplexer (6 programmi SD) per evitare la riduzione dell’assegnazione (il target è palesemente quello di favorire/imporre la condivisione di capacità trasmissiva tra più operatori di rete locali). La sensazione che le imprese tv locali hanno è quella di essere state bellamente prese in giro dal governo con l’attribuzione (insieme ad identificatori LCN perlopiù introvabili) di frequenze che entro settembre dovranno essere abbandonate (vanificando milioni di euro di investimenti in infrastrutture) a fronte di un indennizzo ridicolo (stimato in un ¼ o meno del valore della rete prima dello switch-off), oppure condivise tra più operatori. D’altra parte, se per trovare spazio per tutti è stato necessario assegnare (temporaneamente) frequenze del dividendo interno (nell’A.T. 3 sono stati impiegati i canali VHF 7 e UHF 28 e 54), non ci vuole un genio per capire che sottraendo (almeno) 9 canali (61/69 UHF) in ogni area tecnica in molti dovranno dire addio all’attività di operare di rete. Così i piccoli network provider ripongono le poche speranze nell’opposizione e nei giudici amministrativi, ultimo baluardo prima della fine delle trasmissioni. (M.L. per NL)

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